PARTE II

 

MALTA 1565

 

 

 

 

La situazione politica: gli ultimi anni della supremazia turca

 

I Cavalieri di San Giovanni nella nuova sede di Malta si trovarono in prima linea a combattere contro le potenze islamiche, sia contro il tradizionale nemico, l’Impero Turco, che contro gli Stati Barbareschi. Mi sembra doveroso soffermarsi sul concetto di Stato Barbaresco, spesso foriero di equivoci. Innanzi tutto non si tratta, come alcuni hanno sostenuto, di covi di pirati in cui si trovavano solo bagni penali e empori di schiavi,[1] bensì di organizzazioni statali evolute, con precise istituzioni politiche e una struttura sociale multiforme. L’equivoco in cui incorre il Panetta è quello di non considerare l’organizzazione statale ottomana, in relazione in particolare agli stati tributari del Nord Africa. Il Sultano governava le provincie estreme del proprio impero attraverso un rapporto personale che per certi versi ricorda il feudalesimo europeo: nei vari Principati (Algeri, Tunisi, Tripoli, Egitto, Valacchia, Moldavia) poneva persone di fiducia, conferendo loro il governo di quei territori come premio per i servigi resi allo Stato. E’ chiaro a questo punto che il Sultano nella scelta dei propri vassalli seguiva un criterio di convenienza. Nei Balcani inviava esponenti della nobiltà fanariota[2], più fidati che i discendenti delle antiche dinastie reali romene, nel Maghreb i corsari che si erano distinti per le loro capacità strategiche: nel primo caso la convenienza sta nel porre dei sovrani non troppo dissimili dalle popolazioni soggette ma che garantissero una ferrea fedeltà, nel secondo caso sta invece nell’esperienza della guerra contro gli Europei. Negli stati barbareschi spesso si trovava molta più libertà religiosa che in Europa: gli Ebrei Andalusi avevano trovato qui la loro nuova patria dopo la cacciata dalla Spagna, e i mercanti livornesi, siciliani e marsigliesi disponevano tutti di una chiesa cristiana. (Da notare che in ogni modo anche a Genova e Livorno i musulmani disponevano di edifici di culto).[3] Solo in un’epoca successiva (XVIII secolo) le dinastie dei Bey di Tunisi e Tripoli diverranno ereditarie, mentre il dì Dey di Algeri rimarrà quello con connotati militari più vividi e sarà l’unico elettivo, fino alla conquista francese del 1830.[4] Gli Stati Barbareschi, quindi, erano organismi statali con una struttura politica e sociale definita e praticavano la guerra di corsa, non solo come fonte di arricchimento, ma anche come forma di azione politica e militare. Prima di procedere nell’esposizione degli eventi mi pare fondamentale chiarire l’etimologia del termine barbaresco: sebbene a prima vista potrebbe sembrare collegato al sostantivo "barbaro" in realtà deriva dal termine Barberia, usato per definire il Nord Africa e che significava paese dei Berberi. Il termine non aveva quindi nulla di dispregiativo all'origine ma indicava solo la componente etnica principale della popolazione.

Sul fronte cristiano si assisteva ad un impegno tutto spagnolo contro i Turchi. Gli Stati Italiani (legati tutti alla Spagna, Toscana e Savoia innanzi tutti) erano al suo fianco, così come lo erano Malta e la Chiesa. Ben diversa era la posizione di Venezia, per certi versi analoga a quella della Francia: esse ricorsero spesso a trattati di pace separati, la prima per ragioni di sopravvivenza, la seconda per antagonismo alla Spagna. La scena mediterranea vede quindi una politica di tentativo di dominio tutta spagnola, spesso frustrata da grandi sconfitte. Più che il padre Carlo V, è Filippo II d’Asburgo a impegnarsi in una politica mediterranea: per capire a fondo questo scenario politico risulta fondamentale l’opera di Fernand Braudel Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Nata come tesi di laurea, fu successivamente ampliata fino a segnare una svolta nella visione di un periodo fondamentale per la comprensione degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia politica dell’Europa Meridionale. Braudel si interroga proprio sui motivi che condussero Filippo II a condurre una guerra ad oltranza contro i Turchi: una frase dello storico francese è a tale proposito emblematica, “La guerra continua nel Mediterraneo quando l’Occidente se ne libera ad ogni costo”.[5] Effettivamente la stessa Spagna pone termine ai conflitti che l’hanno scossa durante il regno di Carlo V. La situazione interna non è delle più favorevoli, per le difficoltà finanziarie, per il malessere politico, per i conflitti religiosi, per la rivolta nei Paesi Bassi. Ciò nonostante, Filippo II prosegue la sua guerra nel Mediterraneo, con alterne vicende. All’interno di questa lunga guerra, “indecisa, oscillante, oscura”[6] si inscrive l’episodio dell’assedio di Malta nell’estate del 1565. Braudel sottolinea l’importanza dell’episodio a livello mediterraneo, astraendolo da una visione tradizionale che lo vedeva come un episodio di valore dell’Ordine di San Giovanni, procrastinando a Lepanto (1571) una svolta decisiva nella situazione politica e militare. A tale proposito è significativo il giudizio finale che Camillo Manfroni riserva all’assedio:

 

“In complesso la campagna navale del 1565, se non fu gloriosa per Filippo II, che meritatamente viene accusato da tutti di egoismo, di impreveggenza e di lentezza, non fu disonorevole per l’armata italiana. Essa aveva fatto quel che aveva potuto e i generosi ardimenti di Andrea Provana e di Gian Andrea D’Oria provano che, se il numero delle galee fosse stato maggiore, avrebbero pagata cara la loro temerità. L’assedio poi crebbe la gloria ai Cavalieri di Malta, che così eroicamente avevano saputo resistere e cancellò negli animi dei nostri marinai i funesti ricordi delle Gerbe”[7]

 

Un giudizio simile è totalmente fuorviante e nasce dall’intento di forzare gli eventi passati, per dare loro un’impronta tale da soddisfare un progetto di storiografia nazionalistica italiana. Sembrerebbe, quasi, che solo il valore italiano abbia salvato Malta da sicura sconfitta e che se vi fosse stata una forte marina “italiana” i Turchi avrebbero subito una disfatta memorabile. In realtà i meriti del sovrano spagnolo e di don Garcia de Toledo furono indiscutibili e possono essere negati, solo, qualora si voglia colorare un episodio di tinte nazionalistiche che non gli appartengono. Va comunque segnalato che gli Spagnoli dimostrarono una certa indecisione nell’affrontare gli eventi e che la prontezza del Doria fu vitale per le sorti di Malta ma questo non basta per parlare di una vittoria tutta italiana; Braudel bolla l’analisi di Manfroni con una sentenza lapidaria: “Vane contese di nazionalità, ciarle di cronisti ricantate dagli storici”.[8] Sicuramente un grande problema per storici come Manfroni e Panetta nasce nell’utilizzo di fonti partigiane come l’opera di padre Guglielmotti, Storia della Marina Pontificia, in cui influisce pesantemente l’atteggiamento mostrato da Papa Pio IV che in virtù della propria ostilità verso il Re di Spagna attribuì la vittoria a Dio ed ai Cavalieri.[9]

A mio parere però l’errore di giudizio fondamentale non sta tanto nella realtà dei fatti, quale è stata riproposta da Manfroni, quanto nella considerazione della portata dell’evento che Braudel ha definito “prova di forza”. Per lo storico francese il 1565 è l’ultimo anno di supremazia Turca e segna una nuova, fondamentale, tappa nella ripresa spagnola. Mi sembra a questo punto doveroso analizzare brevemente la storia del periodo 1559-1565, vedendo in che modo la supremazia turca si concretizzò negli eventi bellici: con la rottura delle trattative diplomatiche ispano-turche comincia un periodo di tensione che vede la Spagna soccombere di fronte ai nemici.[10]

Nel 1559 viene decisa la spedizione di Gerba (Djerba) di cui furono sostenitori il Gran Maestro di Malta Jean Parisot de la Vallette[11] e Don Juan de la Cerda, Duca di Medinaceli, Grande di Spagna e Viceré di Sicilia: l’obiettivo era la riconquista di Tripoli, già appartenente ai Gioanniti e caduta il 14 agosto 1551, ora governata da Dragut[12] in nome del Sultano. L’impresa appariva alla portata delle forze che si intendevano utilizzare: la città era difesa da una guarnigione ridotta (500 Turchi, oltre a mercenari berberi) e inoltre Dragut si trovava a dover combattere contro alcuni capi locali, tra cui l’emiro di Kairouan.[13] Subito però si creò dissidio fra Filippo II e il Duca di Medinaceli che concepivano in maniera diversa la spedizione: il primo desiderava un’azione rapida da condursi nell’estate del 1559 mentre il secondo aveva un progetto complesso ed articolato, per la cui realizzazione erano necessarie le truppe di stanza in Italia. I ritardi nella concentrazione delle fanterie provenienti dal Ducato di Milano e dal Regno di Napoli, sia quelle inquadrate nei ranghi spagnoli che in quelli melitensi, fecero sì che l’estate passò e che si giungesse fino ad autunno inoltrato, suscitando nel sovrano forti perplessità: “Sono molto preoccupato per il successo della spedizione perché il momento è tardivo” scrisse al Duca di Medinaceli.[14] Le esitazioni e i problemi sorsero sia per la difficile situazione italiana che per la preoccupazione, forse esagerata, che suscitò la morte di Enrico II di Francia nel Governatore di Milano, Don Consalvo Fernandez de Cordoba, Duca di Sessa. Si giunse al 1° dicembre perché la flotta potesse salpare da Messina: ovviamente non si poteva certo più contare sull’effetto sorpresa. A causa del cattivo tempo la flotta dovette rimanere dieci settimane a Malta per poi poter risalpare e gettare l’ancora presso Zuara, sulla costa della Tripolitania. Dragut frattanto era tornato a Tripoli, lasciando Gerba dove si era recato in precedenza: il Duca di Medinaceli non volle attaccare la città ma preferì far vela per l’isola. La flotta, immobilizzata dal maltempo, salpò dopo una ventina giorni in cui le epidemie fecero strage delle milizie spagnole, già decimate a Malta da analoghe cause. All’inizio di aprile Gerba era presa, dopo che il 7 marzo era avvenuto lo sbarco senza che vi fosse opposta resistenza: il Viceré scelse uno sceicco di fiducia come sovrano tributario di Spagna e diede l’inizio ai lavori di costruzione di un forte nel nord dell’isola. I soldati, la cui salute era messa a dura prova dal clima, da febbri e dalla cattiva alimentazione dovettero sobbarcarsi interamente i lavori di sterro per la scarsa collaborazione degli indigeni, riducendo così ulteriormente i propri effettivi. Il Sultano frattanto, avvertito già a febbraio degli avvenimenti, inviò Pialì Pasha, Kapudan-Pasha (comandante in capo della flotta imperiale) che si avvicinò velocemente all’isola, in soli venti giorni, in netto anticipo sul periodo usuale di navigazione (lo stesso Duca di Medinaceli aspettava le navi nemiche per giugno). L’11 maggio i Turchi giunsero al largo di Gerba: il Viceré era stato preavvisato da una fregata melitense il giorno prima e decise senza esitazione per la fuga; tuttavia occupò la notte fra il 10 e l’11 a caricare le fanterie tedesche e italiane, ancora a terra, perdendo così l’occasione di evitare un disastro. Quando il giorno dopo i Turchi attaccarono la risposta spagnola fu di completo panico e le navi cristiane si volsero alla fuga, svuotando le stive per accelerarla. La disfatta fu memorabile: su 48 imbarcazioni 28 andarono perdute e non vi fu neppure un combattimento onorevole: solo il genovese Domenico Cigala[15] impegnò i nemici opponendo loro una resistenza disperata. Il forte, dove erano rimasti chiusi i soldati spagnoli al comando di Don Alvaro de Sande, si arrese il 31 luglio, dopo la cattura del comandante due giorni prima. Re Filippo non aveva voluto mandare soccorsi, lasciando i propri soldati abbandonati a loro stessi. [16] Gli anni tra il 1561 e il 1564 furono caratterizzati dall’usuale guerra di corsa ma dalla assenza della flotta imperiale ottomana. Gli avvenimenti di questi quattro anni non possono essere ascritti ad uno scenario bellico di ampio respiro ma rientrano in quello stato di tensione continua fra Occidente ed Islam proprio del Mediterraneo. Bisogna attendere il 1565 perché si riproponga un attacco in forze da parte turca. Attacco di cui è vittima proprio Malta.

 

 

Malta sotto assedio

 

 

Parlare di cause per la spedizione turca contro Malta è difficoltoso: e lo è per due ragioni precise. Innanzi tutto il fatto si inserisce in un periodo di tensione quindi risulta molto difficoltoso enucleare un gruppo di eventi da ascriversi come motivo di una risoluzione esclusiva contro l’Ordine di San Giovanni e non tanto come eventi che motivarono un rancore generale contro la Spagna, e, di conseguenza, Malta. In secondo luogo è ben problematico affrontare il tema di un analisi della politica di un governo, quello turco, senza potere attingere direttamente dai suoi documenti, ufficiali o segreti. Pertanto mi limiterò a citare quegli eventi che Francesco Balbi indica come motivi di risentimento del Sultano Sulaiman. Bradford li riporta pedissequamente colorando a tinte a mio giudizio troppo romanzesche il Sultano attorniato dalle Principesse Ottomane che lo esortano a combattere i cristiani (lo storico peraltro, errore comune, afferma che Balbi era spagnolo).[17]

Seguendo l’esposizione di Balbi troviamo alcuni audaci colpi della flotta gioannita che furono perpetrati ai danni di esponenti della famiglia imperiale Ottomana. Oltre al progetto di una spedizione contro le installazioni turche di Malvasia, sarebbero stati motivo di grande risentimento per l’appunto alcune azioni condotte da Fra’ Mathurin de Lescout de Romegas che catturò due importanti personaggi della Corte del Sultano: una dama ultracentenaria di nome Giansever (forse la nutrice della figlia prediletta di Sulaiman oppure la zia di Alì Pasha) ed un alto funzionario, un Sanjaz-Bey (governatore di un sangiaccato in Egitto, Balbi esagera dicendolo “Viceré di una provincia”). Sempre Romegas, comandante delle galere del Gran Maestro, questa volta con Fra’ Pierre de Giou, comandante delle galere della Religione (quelle armate dall’Ordine), riuscì a impadronirsi di una grande nave che trasportava merci ricchissime ed era diretta a Venezia con una scorta di ben venti galere; ne era proprietario Capi Aga, Capitano e Maestro della Porta di Palazzo del Sultano e Consigliere del Divano. Balbi aggiunge che la stessa Rossellana[18], la celebre moglie favorita del Sultano, insisteva perché i Cavalieri fossero sterminati perché ostacolavano il pellegrinaggio alla Mecca. La conquista del Peñon de Velez de la Gomera da parte spagnola non fece che aumentare il risentimento del Sultano cui giunsero in seguito le lettere dei personaggi di Corte in prigionia a Malta. Sulaiman allora convocò il Divano, cui partecipavano i più alti dignitari civili, militari e religiosi dell’Impero e esortato da Capi Aga avrebbe deciso di allestire un’impresa contro Malta. Così sarebbero andati i fatti secondo Balbi.[19] In realtà la spedizione era già in preparazione da tempo come ben ha dimostrato Braudel studiando approfonditamente i carteggi diplomatici spagnoli e veneziani: è chiaro a questo punto che le cause sopraccitate non possono che essere considerate occasionali. Nel paragrafo significativamente intitolato Ci fu sorpresa? Braudel dimostra come in Europa si fosse a conoscenza della grande attività che regnava nei cantieri ottomani e che i governanti avevano capito che sarebbe presto giunta la flotta turca. Già a gennaio del 1565, il giorno 20 per la precisione, l’Ambasciatore francese a Costantinopoli, scriveva alla regina Caterina de’ Medici che l’obiettivo era Malta ed un avviso il 20 aprile da Ragusa annunciava che le prime 20 galere di Pialì Pasha erano uscite un mese prima dagli stretti dirette verso Malta, a quanto diceva la voce pubblica.[20] Balbi stesso scrive che “I preparativi di una spedizione così formidabile vennero a conoscenza dei Principi Cristiani attraverso Venezia; anche il Gran Maestro della Religione non aveva mancato di ragguagliarli su tutto.” A questo punto mi sembra interessante inserire un paragone cronologico tra i preparativi e il viaggio della flotta turca e quanto facevano i Cavalieri e la Spagna per apprestarsi alla difesa. Si potrà notare come quanto messo in atto dal Viceré di Sicilia Don Garcia Alvarez de Toledo, Marchese di Villafranca[21], scagioni il governo spagnolo dalle accuse mossegli da Manfroni, delle quali ho già avuto occasione di parlare.

Per la tabella sottostante mi baserò esclusivamente su Braudel e Balbi, le fonti più precise ed affidabili, la prima perché basata su un attento lavoro di ricerca archivistica, la seconda perché testimonianza diretta. Laddove ci sono delle discrepanze indico entrambe le versioni.

 

FLOTTA IMPERIALE TURCA

SPAGNA e ORDINE di SAN GIOVANNI di MALTA

 

Febbraio 1565- Costruzione della flotta portata a termine

 

 

 

Marzo 1565- Il 20 (per Balbi il 22) venti galere di Pialì Pasha escono dagli Stretti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aprile 1565- Tra il 17 e il 19 settanta attraversano lo stretto di Negroponte, dopo aver fatto rifornimento di biscotto mentre altre 150 sono a Chio.

 

 

 

 

 

 

Maggio 1565- La flotta tra l’8 e il 10 si concentra a Navarino e Modione; il 17 maggio viene avvistata dal presidio spagnolo di Cassibile; il 18 maggio è al largo di Malta..

 

Febbraio 1565- D. Garcia di Toledo, su ordine di Filippo II si reca a conferire col Papa, con i Duchi di Savoia e Firenze, con la Repubblica di Genova e con il Viceré di Napoli

 

Marzo 1565- D. Garcia salpa per Malta con 30 galere e 3000 fanti alla volta di Malta dove offre al Gran Maestro di lasciare alcuni suoi uomini. Il Gran Maestro declina l’offerta ma accetta l’opportunità di ricevere soccorso dal Viceré in qualsiasi momento. D. Garcia lascia quattro compagnie alla Goletta per la difesa e fa ritorno in Sicilia. Il 22 marzo Filippo II da’ ordini perché siano arruolati 4000 fanti in Spagna, da destinare parte in Corsica, parte alle galere.

 

Aprile 1565- Alcuni informatori asseriscono che il reale obiettivo della spedizione è La Goletta. L’8 aprile il Viceré di Napoli informa Filippo II che è sua intenzione arruolare 10000-12000 uomini e recarsi in Puglia. A Malta il Gran Maestro aumenta le fortificazioni e invia lettere ai Cavalieri residenti all’estero, in Italia in particolare, perché raggiungano Malta per partecipare alla difesa.

 

Maggio 1565- Il 7 maggio viene posta la catena all’imboccatura del Porto e giunge un moro che informa i Cavalieri delle grandi scorte alimentari che il Dey di Tunisi sta approntando per la flotta turca; il 10 D. Juan de Cardona, Capitano Generale delle Galere di Sicilia (spagnolo) porta a Malta la notizia della presenza di galere turche a Modione e sbarca sette compagnie di fanteria spagnole; il 13 maggio con due galere dell’Ordine giunge un’altra compagnia spagnola e un’altra nave sbarca 150 soldati arruolati da Fra’ Raffaello Crescino a Messina e posti sotto il comando di Fra’ Gio. Andrea Magnasco; il 18 maggio la flotta turca è avvistata da Sant’Elmo all’alba a trenta miglia al largo verso Greco-Levante (E-NE); il 22 il Viceré di Napoli informa che la flotta è stata avvistata il 17 presso Capo Passero.