LE NEVIERE. L’INDUSTRIA DEL FREDDO IN CAPITANATA NELL’ETA’ MODERNA
DI LUCIA LOPRIORE
Da sempre l’uomo ha avuto l’esigenza di trovare refrigerio, specie
durante la stagione estiva, attraverso l’assunzione di cibi e bevande fredde.
Oggi la tecnologia consente la produzione del ghiaccio artificiale in ogni casa,
con frigoriferi, congelatori ecc., ma non sempre è stato così.
In passato l’uomo, per poter godere del privilegio
di avere bevande e cibi freddi durante i mesi torridi, si ingegnò utilizzando
ciò che la natura gli metteva a disposizione: la neve.
Questo prodotto, formato da microscopici cristalli
di varie forme più o meno regolari, di acqua solidificata, spesso uniti in falde
o fiocchi, si forma quando la temperatura dell’aria è inferiore a 0° C.
Essa, in passato, era merce preziosa ed
un’abbondante nevicata era considerata una benedizione. Con ogni mezzo
l’uomo cercò di utilizzare questo prezioso genere anche quando madre natura non
lo forniva, ossia durante la stagione estiva. Nei paesi a clima temperato,
l’utilizzo della neve era consuetudine sia per l’uso alimentare sia per quello
medico: serviva per preparare sorbetti e bevande, per conservare i cibi, come
riserva di acqua potabile per i periodi di siccità, ma era usata anche per
curare febbri, ascessi, contusioni, ecc-. La neve veniva raccolta in luoghi
esposti a nord, freschi ed umidi, quali sotterranei, grotte, scantinati e fosse
oppure in costruzioni apposite, chiamate neviere.[1
Esse assunsero forme e
tipologie diverse in funzione della zona geografica in cui si trovavano ed a
seconda delle necessità locali.
In talune zone dell’Appennino, le neviere erano
delle semplici buche nel terreno, pressoché circolari, con diametro di 5-10 m. e
profonde altrettanto, con pareti di rivestito in pietra in cui veniva conservato
il ghiaccio[2].
In altre zone, specie nell’arco alpino ma anche in
molte zone appenniniche, erano delle vere e proprie costruzioni in muratura, con
il tetto a due e a quattro falde, senza finestre e con la sola porta di accesso.
Quando la profondità della neviera lo consentiva,
si formavano più strati di neve intervallati da strati di frasche e foglie
secche, che avevano funzione isolante. Questo sistema consentiva di mantenere
freddo lo strato più profondo, anche quando si estraeva la neve dagli strati più
superficiali.
Per il trasporto della neve nei luoghi di utilizzo
erano adottati vari sistemi: talvolta sul dorso di muli, altre volte, quando le
vie lo consentivano, in carretti o slitte.
Sul monte Faito, verso la fine del secolo scorso,
si costruì una funivia con vagoncini per trasportare il ghiaccio dalle neviere
montane agli abitanti di Castellammare.
Lungo l’arco alpino, ogni malga aveva la propria
neviera: serviva per conservare meglio il latte, in attesa dell’accumulo di una
quantità sufficiente per l’avvio della lavorazione del formaggio.[3]
Nelle zone vulcaniche le neviere consistevano in
un cilindro, scavato nel terreno, con una sola apertura per il carico di neve
fresca e per il prelievo del ghiaccio; per garantire un sufficiente isolamento
termico la costruzione era ricoperta da un grosso cumulo di terreno. Esse
avevano l’ingresso rivolto verso Nord, per ridurre l’irraggiamento solare
diretto verso l’interno. Anche la porta d’ingresso era schermata da una fitta
copertura di frasche.[4]
In Sicilia fino agli inizi del ‘900, nei mesi
invernali più rigidi quando la neve cadeva copiosa, molti contadini di Piana
salivano sulla Pizzuta a lavorare nelle neviere di proprietà del comune
di Palermo, poste all’inizio del versante occidentale della montagna. La neve,
raccolta in buche scavate ad imbuto, era compressa su vari livelli in
corrispondenza dei quali veniva inserito uno strato di paglia.[5]
A Catania era molto diffuso il commercio della
neve dell’Etna, pertanto, le neviere si trovavano nelle cavità naturali della
montagna. La neve veniva trasportata in città e nei paesi limitrofi con carretti
coibentati in maniera rudimentale; infatti, per evitarne lo scioglimento i
venditori cospargevano il fondo del carro con uno strato di carbonella ricoperto
a sua volta di felci; al di sopra di queste ultime si disponeva la neve avvolta
in un telo di canapa protetto superiormente da un altro strato di felci.[6]
In Val Mugone, le neviere erano profonde circa 57
m. ed avevano l’ingresso con uno scivolo inclinato che portava direttamente alla
cavità, alla cui base era depositata un’enorme quantità di ghiaccio.[7]
Nell’Appennino Umbro Marchigiano, le neviere erano delle strette
depressioni esposte a nord, spesso a ridosso di pareti rocciose ed impervie. A
Secinaro, vicino alla maestosa catena del Sirente, i nevaroli sin dal
‘500 erano soliti risalire il monte, fino alla neviera, dove si calavano con
scale e corde per tagliare i blocchi di ghiaccio e riportarli a valle in gerle
di vimini, avvolte in foglie secche isolanti, sul dorso di asini e muli.[8]
Nell’Altopiano delle Murge le neviere erano distribuite soprattutto
presso le masserie e nei declivi dei campi; avevano la forma di un
parallelogramma con volta a botte ed un piano di calpestio formato da terriccio
ricoprente le lastre adagiate sulla volta per neutralizzare il calore in maniera
uniforme. Esse avevano, inoltre, una o due aperture laterali murate o chiuse con
porte di legno che servivano per prelevare il ghiaccio mentre la neve veniva
infilata dalla bocca posta alla sommità della volta. Sul fondo, all’interno, si
deponevano dei fasci di sarmenti il cui scopo era quello di evitare che le neve
venisse a contatto con il suolo e potesse sciogliersi o inquinarsi. La neve
appena caduta veniva raccolta e, ancora fresca, veniva trasportata sui
vaiardi[9]
perché i traini erano ingombranti e non potevano entrare negli
erbaggi senza provocare danni; oppure, si formavano grosse palle di neve e si
lasciavano rotolare dall’alto verso il fondo della valle dove erano collocate le
neviere. Solo la neve raccolta lontano dalle neviere era trasportata sui traini.
La neve raccolta veniva immessa nella neviera
dall’apertura sulla volta mentre le porte laterali restavano chiuse sino al
prelievo del ghiaccio. I fasci di sarmenti isolavano la neve dal fondo su cui si
lasciava cadere un tubo che serviva per pompare l’acqua che lentamente si
accumulava.
La neve veniva compressa affinché la neviera potesse contenerne
grandi quantità.
Il commercio del prodotto era destinato
soprattutto all’esportazione, fuori dall’Alta Murgia, verso i paesi costieri.
Altamura, Minervivo, Santeramo, Locorotondo ed altri comuni erano i maggiori
esportatori di neve.[10]
Per meglio regolamentare i traffici commerciali
della neve furono varate delle leggi apposite che regolavano, attraverso una
serie di norme e consuetudini, la fornitura e la vendita del prodotto.
Fu quindi istituita la gabella della neve: un
unico appaltatore aveva l’esclusiva della vendita della neve, egli però era
obbligato a fornirla alle città a prescindere dalle condizioni climatiche.
Il prodotto, consolidato in ghiaccio, era tagliato
in blocchi e trasportato dagli appaltatori verso i comuni per essere destinato
alla vendita al minuto.
In Capitanata, le neviere solitamente venivano
costruite dagli appaltatori, i quali stipulavano i contratti di appalto, con
privativa.[11]
Le modalità erano stabilite anno per anno sia dai comuni stessi sia
dall’Intendenza di Capitanata.
La neve venduta era di due tipi: quella bianca,
per uso alimentare e medico, e quella grezza o nera destinata ad altri usi.
Il prezzo variava a seconda della provenienza e
non poteva essere superiore a tre grana per rotolo; a volte il prezzo di vendita
era comprensivo della gabella che l’appaltatore doveva versare al comune. Spesso
la gabella era comprensiva di una somma che l’appaltatore doveva versare alla
chiesa Matrice del comune interessato per la festa dei SS. Patroni o per il
viatico, come succedeva per il comune di Foggia. Tra le curiosità, dalla ricerca
emerge che ancora oggi nel capoluogo della Capitanata esiste una via intitolata
a S. Maria della Neve[12],
protettrice di questo prodotto.
Tra le altre condizioni, inoltre, nei contratti si
stabiliva la durata dell’appalto che poteva essere di un solo anno ma poteva
protrarsi per un periodo più lungo e durare anche vari anni.
Le gare si bandivano attraverso l’affissione di
manifesti. In base alle offerte presentate si procedeva alle subaste,
l’aggiudicazione definitiva avveniva ad estinzione di candela in grado di sesta
o di decima.[13]
Gli appaltatori dovevano sempre essere garantiti,
solidalmente, da una persona del posto di indubbia moralità. Tra le condizioni
dell’appalto si stabiliva che la neve doveva essere fornita solo dagli
appaltatori aggiudicatari e venduta dai dettaglianti scelti dal Comune, ma di
concerto con gli appaltatori stessi. In caso di mancanza della neve
l’appaltatore era soggetto al pagamento di una multa ed in caso di recidiva
anche all’arresto personale.
Del manufatto architettonico, un tempo esistente
nel nostro territorio si hanno poche notizie certe; secondo alcune testimonianze
orali, le neviere montane, per struttura e morfologia, erano diverse da quelle
delle zone pianeggianti. Le prime erano scavate sia nella roccia sia nel
terreno, le seconde erano scavate solo nel terreno; quelle collinari
presentavano la stessa morfologia delle neviere montane.
A tale riguardo, Alfonso la Cava, a proposito
delle neviere di Monte Sant’Angelo, piccolo centro del Gargano, parlando del
clima garganico asserisce che il paese aveva un clima intensamente rigido nei
mesi invernali, in cui la neve cadeva abbondante; gli sbalzi di temperatura, con
frequenti temporali, specie quelli causati dal libeccio, erano improvvisi e di
forte intensità.
Ma il paese era anche soggetto a periodi di
intensa siccità, tanto che nel 1920 il Comune fece costruire delle grandi botti
per il trasporto dell’acqua dalle navi cisterne in paese.
Ai periodi di siccità si contrapponevano le
intense nevicate.
Le neviere di Monte S. Angelo si trovavano intorno
al Castello, e furono fatte interrare nel 1937 dall’Avv. Matteo Gatta per
effettuare il rimboschimento dell’area.
La neve era raccolta in grossi blocchi provvisti
di un foro centrale nel quale gli operai ponevano un bastone lungo e robusto che
poggiava sulla spalla del portatore; in seguito, furono utilizzate le ceste di
vimini che i contadini mettevano sulla testa o sulle spalle; la neve veniva
deposta all’interno delle ceste, tra la paglia.[14]
Poi, dalle zone di raccolta, la neve veniva
trasportata con i Traini per mezzo di persone addette al compito, che
solitamente erano scelte dallo stesso appaltatore del luogo in cui era stato
aggiudicato l’appalto per l’anno della fornitura.
Le neviere delle zone pianeggianti erano grotte
coniche a doppia fodera, profonde circa 12 o 15 m.; questi impianti produttivi
oggi sono difficilmente riconoscibili, sia perché destinati ad altri usi, sia
perché degradati a tal punto da poter individuare solo le cavità a cielo aperto.[15]
Le neviere di Vico del Gargano erano per tipologia
formate da una fossa di grandi dimensioni scavata nel terreno, a volte solo in
parte nella roccia, solitamente erano situate nella zona più fresca ed ombrosa
dove la neve si accumulava in grande quantità. I proprietari delle neviere erano
soliti assumere una squadra formata da dieci o quindici operai che, muniti di
pale, dopo aver eliminato lo strato superficiale di neve, la caricavano sui
Traini e la trasportavano nei depositi per la conservazione.
La neviera, era stata pulita in precedenza e, sul
fondo, era stato depositato uno strato di paglia.
Al suo interno operavano gli Insaccaneve
che calzavano sopra le scarpe e pantaloni dei sacchi di canapa legati
all’altezza delle cosce per evitare di sporcare il prodotto durante il lavoro.
Questi erano muniti di appositi attrezzi di legno
detti Paravisi aventi una forma rettangolare, con uno spessore di circa
40 cm., una larghezza di 30 cm. ed una lunghezza di 50 cm., molto pesanti con un
manico alto circa un metro infisso al centro, cominciavano a comprimere la neve
depositata; dopo il primo strato alto circa 40 o 50 cm., nella parte laterale
delle pareti veniva deposta la paglia per isolare il prodotto dalla terra. Poi,
la neve era coperta da uno strato di paglia avente una qualità diversa dalla
prima, essa era detta Cama, e derivava direttamente dalla frantumazione
della spiga del grano; mentre la paglia vera e propria era ricavata dallo stelo
della spiga.
In questo modo, sotto il controllo del
proprietario, dopo aver messo di lato la paglia per gli altri strati successivi
si riempiva la neviera fino al raggiungimento del bordo superiore. Qui l’ultimo
strato di paglia era più abbondante. Infine, si ponevano molti sacchi di canapa,
uno strato di terra, delle tavole pesanti che premevano sulla neve sottostante
coperte da ampi teloni si sovrapponevano le ramaglie di ginestre che fungevano
da camera d’aria: il tutto era ricoperto da altre tavole.
Per evitare lo scioglimento del prodotto durante
il trasporto si era soliti deporre la neve in sacchi di canapa contenenti paglia
pulita, si caricavano sugli asini o sui carretti e si procedeva alla consegna
per la vendita al minuto.[16]
Dalla documentazione archivistica si evince che
nelle zone pianeggianti la neve era fornita da vari paesi del Gargano, del
Subappennino, della Lucania, dell’Abruzzo e delle Murge; i prezzi della
fornitura variavano da periodo a periodo e per questo furono molte le situazioni
controverse che si crearono fra appaltatori e Comuni.
Prima del 1800, a Foggia i contratti tra il Comune
e gli Appaltatori erano stipulati dai notai attraverso le
Obbliganze,[17]
nessuna notizia, invece, è giunta per il periodo anteriore al
1800 circa le condizioni di vendita della neve negli altri centri della
Capitanata.
Prima dell’unità d’Italia, ove non specificato,
nei contratti si faceva riferimento alla Legge n. 77 del 12 dicembre 1816[18],
che attraverso alcuni articoli, fissava le condizioni di appalto per la vendita
della neve:
L’art. 206 stabiliva che le privative volontarie
riguardavano solo la preparazione e la vendita dei beni commestibili. Esse erano
temporanee e ad esclusivo vantaggio del Comune.
L’art. 208 della stessa legge stabiliva che le
privative volontarie dovevano essere date in appalto a mezzo di asta pubblica.
La loro durata ordinaria non doveva essere superiore ad un anno, inoltre solo
quando le circostanze e le esigenze di un Comune richiedevano una durata
maggiore, l’appalto poteva essere prolungato, ma non avrebbe potuto superare i
tre anni.
L’art. 235, titolo IX- Capo I, stabiliva che le
subaste[19]
dovevano essere precedute da due manifesti da pubblicarsi ed affiggersi
nell’intervallo di tre giorni l’uno dall’altro. Tra questi uno doveva essere
affisso la domenica nei luoghi consueti del Comune, inoltre le subaste non
potevano cominciare prima di otto giorni dalla pubblicazione del primo
manifesto.
L’art. 236 stabiliva una seconda subasta cinque
giorni dopo la prima, in seguito all’affissione di un altro manifesto pubblicato
a norma dell’art. 235. Solo con questa i partecipanti avrebbero avuto
l’aggiudicazione definitiva in grado di sesta o di decima.
Stabiliti i criteri dell’appalto, attraverso i
verbali decurionali, i Comuni facevano affiggere i manifesti in luoghi diversi
e, dopo aver esaminato le prime offerte, procedevano alle subaste.
Per meglio comprendere le modalità e le condizioni
degli appalti si trascrive un contratto tipo.
I contratti di appalto, sia pure con qualche
variazione, in genere erano identici per ogni Comune; solitamente, per le norme
generali, si rimandava alla legge n. 77.
Si trascrive il contratto di appalto del Comune di
Campomarino, riportato nel verbale del 23 maggio 1807, estratto dal libro delle
Obbliganze penes acta della Regia Corte.[20]
“ A dì ventitré
Maggio milleottocento sette in Campomarino e presso gli atti della Regia Corte.
Costituiti personalmente presso gli atti di questa
Regia Corte ed in presenza nostra, e de’ sottoscritti testimoni il sig. Domenico
Antonio Noventa Sindaco di questa Comune interviene per se e suoi successori
Sindaci in nome e parte di questa Comune alle cose infra[scri]tte.
E Pasquale Russo di Montorio, al presente in
questa Terra, interveniente per se e suoi eredi e successori dall’altra parte.
I detti sig. Sindaco e Pasquale Russo con
giuramento, toccate le scritture, hanno asserito, che sono venuti a Convenzione
di dover d[etto] Pasquale Russo provvedere questa Comune della neve, che gli
bisogna ne’ mesi estivi, cominciando dal primo Maggio a tutto li quindici di
Ottobre colle seguenti condizioni.
1° - che debba d[etto] Russo a sue proprie spese,
e conto fissare qui un venditore di neve a minuto, il quale deve dispensare la
neve a chiunque n’avrà bisogno a giusto peso, e misura, senza far mai mancare
detto genere dal primo Maggio a tutte li quindici Ottobre senz’interruzione
alcuna; nel qual caso di mancanza, niun caso escluso, incorre d[etto] Russo
nella pena di Docati sei in beneficio dell’università, qualora d[etta] mancanza
succede per lo spazio d’una sola ora.
2° - che d[etto] obbligo di provvista di neve
s’intenda a decorrere per quest’anno, e per altri anni nove successivi a tutto
li quindici ottobre milleottocentosedici; col patto però espresso, che mancando
o nel sud[detto] tempo la neve in Montorio, perché non caduta dal cielo, debba,
e possa essere in quell’anno escluso il d[etto] Russo dal partito, che contra e,
per quell’annata; ben inteso, che ciò s’intenda qualora effettivam[en]te d[etto]
Russo non abbia neve di sorta alcuna nella sua neviera, ne ve ne sia in Montorio,
nel qual caso deve d[etto] Russo deve prevenire gli Amministratori di questa
Uni[versi]tà per tutto li quindici d’aprile di quell’anno, perché se ne
posseggono altrove.
3° - che d[etta] vendita di neve al minuto debba
farsi dal d[etto] Russo ne’ tempi convenuti al prezzo stabilito e fisso di grana
uno e cavalli sei per ogni rotolo di giusto peso in tutto il suddetto decennio
senzacchè possa alterarsi in modo alcuno il d[etto] prezzo; e per la giustezza
del peso si obbliga a soggiacere alle pene comunali ogni qualvolta sia trovato
in frode.
4° - che per la validità della presente
convenzione l’obbliga d[etto] sig. Sindaco d’ottenere il permesso, ed assenso
dell’Intend[en]za Provinciale, ed esso Pasquale Russo da per le sue mancanze e
per la sicurezza del partito per plaggio il sig. Giuseppe Corriero qui presente,
ed accettante; il quale si assume di rispondere per d[etto] Russo nella forma
più ampia, e più legale. Obbligandosi a tale
effetto vicendevolm[en]te esse Parti, l’una all’altra, in tutte sud[dette] cose
anche a modo delle prigioni di Napoli, e de’ riti della G. C. potendosi incusare
la presente convenzione contro del controventore di ogni luogo, Corte o foro
colla clausola del Costituto precario, sotto pena d[detta] homo giurato e si
sono obbligati in forma.
Segno di croce di Pasquale Russo, che si obbliga
come sopra = segno di croce di Giuseppe Corriero, che si obbliga e plaggia come
sopra = Domenicantonio Noventa Sindaco = Donato Manes Testimonio = Diego
Sportelli Testimonio = Giandom[eni]co Gianni Testimonio = Isidoro De Laureto
Supp[len]te.
La presente Copia è stata estratta dal libro delle
Obbliganze penes acta di questa Corte di Campomarino, principiato in Agosto
1807, in avanti si stente al foglio 49, col quale sulla collazione concorda, in
fede Isidoro De Laureto supplente.”
Analizzando i vari punti del contratto trascritto, si potrà notare
che: l’appaltatore doveva provvedere anche alla vendita al minuto della neve,
cosa che in genere spettava ad altre persone scelte dai decurioni come avveniva
in altri centri della Capitanata e, in caso di mancata fornitura del prodotto,
l’appaltatore, come previsto, pagava una multa a beneficio del Comune
interessato.
In questo caso il contratto di appalto aveva una
durata di dieci anni. Come si è visto, con la Legge n. 77 furono stabilite
condizioni diverse e, la durata dell’appalto non poteva superare i tre anni. Tra
le altre condizioni, il contratto prevedeva che nel caso in cui la neve non
fosse caduta e l’appaltatore fosse stato impossibilitato a fornirla in tempo
utile, solo per quell’anno, era esonerato dalla fornitura del prodotto senza
pagare ammende, a patto che avesse avvertito il Comune interessato.
Dopo aver stabilito il prezzo, l’appaltatore era
obbligato a vendere la neve a peso giusto, senza frode. Nel caso fosse stato
scoperto in flagranza di reato, sarebbe stato multato dal Comune.
Tra le clausole finali si apprende che, per
l’approvazione definitiva dell’appalto, il Comune si rimetteva all’espresso
assenso dell’Intendenza Provinciale. Nel caso l’appaltatore fosse venuto meno
agli obblighi contrattuali, sarebbe subentrato il garante solidale, che all’atto
della stipula del contratto assicurava l’osservanza delle norme contrattuali sia
sotto l’aspetto amministrativo sia legale, rispondendone personalmente e
solidalmente in caso di inadempienza.
Solitamente, le clausole esaminate nel contratto
di appalto relativo al Comune di Campomarino si presentano identiche anche per
gli altri centri della Capitanata; qualche piccola variazione sarà sottoposta
all’attenzione del lettore nell’analisi dei singoli contratti. Il repertorio
archivistico oggetto della presente pubblicazione esplicita con maggiore
chiarezza sia i luoghi di provenienza della neve, sia le modalità degli appalti
per il periodo che intercorre tra il 1696 ed il 1800.
Dai primi anni del 1900 la fornitura di neve è
soppiantata dalla produzione di ghiaccio industriale che viene venduto fino a
tempi recentissimi, ovvero fino a quando non entra nelle case il frigorifero. Si
conclude così un’era di tradizioni e folclore lasciando spazio solo ai ricordi.
CURIOSITA’
U’ Grattamariann’
La tradizione narra che in molti paesi della
Capitanata durante il periodo estivo nelle cantine
e nei caffè si
vendeva la neve ai clienti abituali tagliandola a pezzi per preparare sorbetti.
La domenica, dopo le celebrazioni religiose, la gente
del posto dopo la passeggiata, ù strusc’,
si recava in questi posti per acquistare il prodotto che, doveva refrigerare e
deliziare i palati dei buongistai
più esigenti che, dopo il
luculliano pranzo festivo, erano soliti preparare le refrigeranti bibite.
Nei paesi del Gargano, l’acqua fresca delle sorgenti
veniva trasportata nei Cic’n, Giarr
e Quartèr,
appositi recipienti di creta di capacità
differenti. I gestori dei caffè e
cantine specie nei giorni
festivi, su richiesta dei clienti preparavano le granite con caffè o altre
essenze usando un coltello per raschiare la neve oppure era usato un attrezzo
simile ad una piccola pialla munita di una lama affilata di acciaio posta di
traverso nella parte di sotto che sfregata su un pezzo di ghiaccio lo
sbriciolava minuziosamente fino a raggiungere la quantità occorrente per far le
granite richieste.
Tale attrezzo era meglio conosciuto con il nome di
Grattamariann’.[21]
Quasi all'ingresso della
vecchia Vico, percorrendo Via di Vagno si perviene alla piccola Piazza
denominata della Misericordia, che prende il nome dalla chiesa lì situata. In
questa viene venerata la "Madonna della Neve” che viene festeggiata annualmente
nei primi del mese di agosto.
E’ rappresentata con il bambino Gesù sul braccio sinistro; con la
mano destra ostenta verso i devoti un fiocco di neve. Verso la fine del 1800, il
priore di quella confraternita era tal Azzarone Michelantonio, il quale era
proprietario di vastissimi agrumeti ubicati in località "Murge nere".
All'epoca non esistevano attrezzature per la confezione di gelati,
granite e altro, che si vendevano specialmente durante i periodi estivi.
All'epoca, la neve cadeva abbondantissima ed alle volte, specialmente a dicembre
che era il mese maggiormente nevoso, arrivava fino agli architravi delle porte
di casa. Altrimenti era un'invernata abbastanza calda e senza neve. Nei pressi
dell'attuale piazza "San Francesco" vi erano delle neviere, costituite da ampi
fossati nei quali i "nevierai" facevano raccogliere la neve a strati, calcati
con i piedi e ricoperti di paglia, per prelevarla d’estate a piccoli cubetti e
venderla per i rinfreschi. Ciò è avvenuto fino al 1925 quando Nicola De Petris,
ex coadiutore del notar Saverio Girlanda, divenuto industriale, fece impiantare
la macchina per la costruzione di blocchi di ghiaccio. Occorre inoltre precisare
che le arance specialmente quelle toste (durette) maturavano più o meno nel
periodo natalizio.
In dicembre, mese al quale si riferisce l'accaduto, non s'era ancora
visto un fiocco di neve. Il povero nevieraio, preoccupandosi che ai suoi
pargoletti durante l'estate sarebbero mancati i più indispensabili mezzi di
vita, si recò presso la balaustra dell'altare della Madonna sua protettrice, e
battendosi in petto e senza alcun rispetto umano cominciò a implorare la grazia
di abbondanti nevicate senza preoccuparsi, nella disperazione della sua
richiesta, se vi fossero persone presenti. Supplicò: "Madonna mia, fai
nevicare!”
Il Michelantonio, che stava nell'adiacente sacrestia e che proprio
in quell'anno aveva un'abbondanza di arance, temendo che un eventuale gelo
danneggiasse il prodotto del suo latifondo, uscì dalla sacrestia e volgendosi al
nevieraio lo apostrofò duramente: “E tu, cosa stai dicendo?”.
E il nevieraio, in risposta: “E tu cosa vuoi da
me? Non sai che danno subirei io con la mia famiglia se non nevicasse? Ai figli
miei chi darebbe un tozzo di pane durante l'estate? Del resto, fammi pregare la
Madonna mia e tu vai a pregarti San Valentino che è il patrono degli aranceti”. A
tali parole l'alterco ebbe fine ...
FONTI
DOCUMENTARIE
Archivio di Stato di Foggia:
-
Intendenza e Governo di Capitanata,
Affari Comunali s. I e s. II;
-
Intendenza e Governo di Capitanata,
Carte varie, Corrispondenza Amministrativa;
-
Consiglio d’Intendenza, di Governo e
Prefettura di Capitanata, 1^ Camera, Processi;
-
Intendenza e Governo di Capitanata,
Affari Comunali, s. I e s. II, Appendice I e II;
-
Intendenza, Governo e Prefettura di
Capitanata, s. II, Appendice I e II;
-
Intendenza di Capitanata, Atti vari;
-
Intendenza di Capitanata,
Amministrazione Finanziaria, s. II;
-
Catasto Onciario di Sant’Agata di
Puglia;
-
Archivio Storico del Comune di
Foggia, Obblighanze Penes Acta, Parte I e Parte II;
-
Archivio Storico del Comune di
Foggia, Appendice;
-
Dogana s IX, processi;
-
Dogana s. II, Atti Civili;
-
Intendenza di Capitanata, Prefettura
di Foggia, s. II, Tratturi;
-
Collezioni delle Leggi e Decreti
Reali, vol. 4;
-
Prefettura, Affari Speciali del
Comune, s. II;
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SPIRITO G., La Storia di
Foggia attraverso la toponomastica, Bastogi, Foggia
1998. TANCREDI G.,
Folclore Garganico, rist. anast. del 1938 a cura del Centro Studi Garganici
per la Banca Popolare di Apricena. Villaggio
Globale, anno 1, Centro Studi Torre di Nebbia, giugno
1998.
VILLANI M. – SOCCIO G., Le Vie e la memoria dei
Padri, Santuari e percorsi devoti in Capitanata, Amministrazione Provinciale
di Foggia, Foggia 1999.
BIBLIOGRAFIA TELEMATICA
http://212.77.69.144/sportello/mestieri/neviera.htm. http://www.parks.it/grandi.itinerari/altavia/altavia23-24/altavia23-24.html.
http://www.geocities.com/Yosemite/Forest/5244/CAM/Roccamonfina.html. http://trevico.terrashare.com/cultura.html.
http://www.asicilia.it/cultura/storie/21.htm.
http://www.comune.gioiadeimarsi.aq.il/gioia_pna_geologia.htm. http://sirente.net/it/paesi/secinaro/neviera.htm.
Immagini :
[1]
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[2]
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[3]
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[4]
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[5]
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[6]
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[7]
http://www.comune.gioiadeimarsi.aq.il/gioia_pna_geologia.htm
[8]
http://sirente.net/it/paesi/secinaro/neviera.htm
[9]Specie
di portantine in legno a quattro mani.
[10]P.
CASTORO, Le neviere, in Villaggio Globale, anno 1, n. 2,
giugno 1998, a cura del Centro Studi Torre di Nebbia. Sulle neviere di
Locorotondo ed Altamura si veda pure: G. GUARELLA, Niviere e vendita
della neve nelle carte del passato, in Umanesimo della pietra,
1988, pag. 117 e segg.
[11]
Contratto con cui l’appaltatore si assicurava il monopolio sulla vendita
del prodotto.
[12]
G. SPIRITO, La Storia di Foggia
attraverso la toponomastica, Bastogi, Foggia 1998,
pag. 196. La strada prende il nome da un’antica chiesa sotto il titolo
di Sant’Elena, ubicata nell’attuale Piazza Giordano; nel 1078, l’eremita
Carlo Ferrucci, rettore della chiesa e dell’abbazia di Sant’Elena,
voleva installare una lampada ad olio sotto il quadro che raffigurava
Sant’Elena. Nel conficcare il chiodo al muro l’intonaco si scrostò ed
apparve l’occhio di un affresco più antico, raffigurante la Madonna con
Bambino con le mani incrociate, era il 5 agosto ed in quella data si
festeggiava la ricorrenza della Madonna della Neve. Così, la chiesa da
allora fu intitolata alla Madonna della Croce, ma fu anche detta della
Madonna della Neve. La chiesa fu demolita nel 1930, per far spazio
all’attuale Palazzo degli Uffici Statali.
[13]
Per sesta si intenda il sesto giorno di asta e per decima il decimo
giorno.
[14]
G. TANCREDI, Folclore Garganico, rist. anast. del 1938, a cura
del Centro Studi Garganici per la Banca Popolare di Apricena, pp. 367 e
368. L’indicazione è stata cortesemente fornita dalla Prof.ssa Teresa M.
Rauzino.
[15]
Cfr. L’antica civiltà… sito internet cit.
[16]
Cfr. N. M. BASSO, L’industria del freddo fra ‘800 e ‘900, Parte
descrittiva, in Il Gargano Nuovo, anno IX nn. 1 e 2
gennaio-febbraio 1983, pag. 3.
[17]
Contratti brevi contenenti tutte le condizioni di appalto.
[18]
ASFG, Collezione delle Leggi e Decreti Reali, anno 1816, vol. 4
- 15777, pag. 423.
[19]
Forma di aggiudicazione all’incanto dell’appalto.
[20]
ASFG, Intendenza e Governo di Capitanata, Corrispondenza
Amministrativa, Carte varie, b. 41, fasc. 3321.
[21]
N. M. BASSO, L’industria del freddo fra ‘800 e ‘900, Parte
descrittiva, in Il Gargano Nuovo, anno IX, nn. 1 e 2,
gennaio-febbraio 1983, pag. 2.IL
NEVIERAIO "IL NEVIAIOLO"